Un’atleta non vedente con una vita appassionante

Valter D’Angelillo ha intervistato per BNB Arjola Dedaj, una sportiva dai risultati entusiasmanti. (Foto: Mauro Ficerai)

Presentati e racconta i tuoi progetti, i tuoi sogniSono Arjola Dedaj, a breve avrò 36 anni, vivo in Italia ormai da quasi 20 anni, ma sono nata in Albania. In Italia ho fatto parecchi lavori finché sono entrata in contatto con l’Istituto dei Ciechi, dove ho avuto modo di conoscere altre persone non vedenti, e avere la possibilità di capire che è possibile anche lavorare utilizzando il computer. Io ero fuori da tutto quello che è tecnologia, quindi non pensavo che esistessero i computer o il telefonino con la sintesi vocale. Grazie all’Istituto ho avuto modo di conoscere tutto questo, di farmi forza e prendere coraggio ad accettare la mia disabilità.Come hai iniziato a praticare sport, dall’atletica al Baseball, riesci a conciliare le due cose?Mi sono avvicinata allo sport prima iniziando a fare qualche corso di danza dove abitavo ad Abbiategrasso (Mi), poi sempre lì all’istituto, mentre facevo il corso di computer, mi hanno presentato Francesco Cusati. Mi propose di venire a provare il baseball e me ne sono subito innamorata, sia del gioco che del rapporto della squadra, dello stare insieme, dell’armonia e della complicità che c’era tra noi giocatori e poi la dimestichezza e il saper gestirsi in un campo così ampio soprattutto senza avere paure ne timori. Invece l’atletica, lì correvo per fatti miei come fanno tanti podisti, su strada con amici che mi facevano da guida, ma senza grande impegno, dopodiché ho avuto modo di fare atletica realmente dal 2012 e da lì ovviamente mi sono innamorata prima della velocità, quindi imparare proprio a fare delle andature, degli esercizi che secondo me solo quando fai atletica seriamente, ti rendi conto quanto sono utili e che è la base di tutto quello che fai.Che benefici ti ha dato praticare lo sport, nella vita quotidiana?Lo sport secondo me è utilissimo a tutte le persone disabili, perché ti permette di essere, di acquisire autonomia, fiducia, autostima e soprattutto di imparare a conoscersi. Avere una grande percezione di sé stessi e dello spazio che ci circonda, quindi ti aiuta molto anche ad essere più disinvolto, più spontaneo e più sciolto.

Ricordi il tuo primo successo, e la prima delusione ovviamente in ambito sportivo?

L’emozione principale è stata quando, per la prima volta, ho indossato la maglia azzurra nel 2014, quella è stata l’emozione che rimane indelebile partecipare ad una paralimpiade e vincere poi una medaglia d’oro. Delusioni durante il percorso ce ne sono tante, ci sono delusioni fisiche per problemi dovuti ai vari infortuni che subisci che ti impediscono di allenarti, come altre delusioni di carattere psicologico.

Come è venuta l’idea di indossare una maschera con due occhioni colorati?

Ho sempre giocato con le mascherine, mi è sempre piaciuto fin dall’inizio, da quando ho partecipato alle prime gare internazionali, a partire dagli occhi di gatto, un gattopardo era un mix tra gatto e ghepardo e l’ho chiamata gattopardo, poi l’uomo ragno a flash, che ho usato l’anno scorso, la bandiera italiana, ce ne sono state altre ed infine quella che ho utilizzato quest’anno, è quella che una bambina di 11 anni ha voluto rappresentare, gli occhi di una bambola, ha voluto che io portassi questa mascherina e quindi ho portato il suo desiderio in un mondiale, ho realizzato non solo il mio desiderio ma anche quello di una bambina figlia di alcuni nostri amici.


Cosa ti ha spinto ad incitare il pubblico, le emozioni che hai provato sentendo l’applauso?

Nelle gare di salto in lungo non ci deve essere il minimo rumore, occorre il massimo silenzio, perché l’atleta non vedente deve sentire l’atleta guida mentre lo sta chiamando. È stato un altro mio sogno da realizzare e lo potevo fare solo quando sapevo che avrei vinto. In realtà ero talmente emozionata che mi ricordo poco e non me lo sono gustato l’applauso di incitamento del pubblico, ma la sensazione del boato dell’applauso e tu che cerchi di ascoltare la tua guida in quella confusione è stata un’emozione indescrivibile come quella di aver vinto un mondiale.

Con tutti questi ottimi risultati, quali sono i tuoi obiettivi futuri, Tokyo 2020? Magari associato al nostro sport il baseball BXC come sport dimostrativo?

È impegnativo ma voglio cercare di arrivare a Tokyo 2020, incrociando le dita, perché no come dici tu (Valter), anche con il baseball, sarebbe troppo bello se anche il nostro sport riuscisse a fare una partita dimostrativa, a farsi conoscere in tutto il mondo. Se io potessi dare una mano a questa cosa la farei volentieri, perché è stato il mio primo grande amore, il baseball, ed il rapporto che ho con i Thunder’s 5 Milano (squadra baseball AIBXC), è stupendo.

Cosa vorresti dire alle persone che si avvicinano allo sport?

Dico a tutte le persone che vogliono praticare sport, di provare tutto quello che gli piace di trovare il metodo adatto perché c’è sempre un metodo, e se non lo conoscete, chiedere informazioni, cercare e se non si trova qualcosa basta ingegnarsi un po’, però è possibile farlo e se qualcuno volesse avvicinarsi all’atletica io ed il mio fidanzato Emanuele saremmo ben felici di aiutarli a praticarlo, possono tutti tranquillamente contattarci sulla pagina facebook: #lacoppiadeisogni. Dico principalmente ai genitori, che sono la barriera principale, di aiutare i figli, di non tenerli chiusi dentro una cupola di vetro, ma di aiutarli ad esporsi, a conoscere, senza paura. Aiutare i figli ad avvicinarsi allo sport, che aiuta veramente ad eliminare la disabilità.

Valter D’Angelillo

(Foto: Mauro Ficerai)

Fonte: http://buonenotiziebologna.it/primo-piano/77-interviste/1404-un-atleta-non-vedente-con-una-vita-appassionante